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Senza titolo- 3

Non so né in che modo, né come la mamma riuscì a scoprire dove l'avevano portato, ma lei, appena fu possibile, ci andò; a trovarlo. Mio padre no, lui non aveva il cuore adatto per andarci.
E mamma partì, carica di cose e accompagnata dal suo nervoso masticare a vuoto. Conservo ancora l'immagine di mia madre che parte e del suo prepararsi. Raccoglieva i libri per N dai suoi ex professori delle medie; li raccoglieva assieme a scatole piene di vestiti e roba da mangiare, senza sapere se avesse mai potuto portarle, queste cose, e fargliele avere. Non ricordo quante volte andò a Santa Fe.
In qualche modo eravamo contenti che non fosse finito nel carcere di Coronda (sempre in provincia di Santa Fe), perché già si sapeva che da lì non uscivano vivi o ne uscivano pazzi. La mamma un giorno partì, arrivata alla prigione si trovò con un cartello appeso alla porta del carcere che diceva: "tutti i detenuti dal Poder Ejecutivo Nacional sono stati trasferiti a Resistencia, nel Chaco". Nord Est dell'Argentina, non so quanti chilometri fossero da casa, ricordo solo le 14 ore di treno, dopo le 3 di autobus. Perché la prima volta a Resistencia ci andai anch'io, con lei.
Era il 1978, lo ricordo perché c'erano i mondiali di calcio da noi. Che buffonata internazionale, che vergogna, ce l'hanno anche fatto vincere.
Quello stesso anno nacque l'Asociacion de Madres de Plaza de Mayo, donne coraggiose che hanno sfidato i militari in modo incredibile. E ancora oggi lottano per la verità.
Avevamo la possibilità di vederlo 3 giorni alla settimana; mezz'ora al giorno. Troppa grazia. La parte infantile che restava in me era contenta di fare un viaggio con la mamma. Non sapevo ancora che sarei diventata grande in un attimo di secondo. Ora che ci penso doveva essere giugno, è il mese dei mondiali; sempre. Inizia l'inverno, e nel Chaco la pioggia. Infatti arriviamo e c'era il diluvio. Restiamo in albergo e la mattina dopo, molto presto, andiamo verso il carcere. Un fortino. Enorme, imponente. L'acqua ci arrivava praticamente alle ginocchia, centinaia di persone in fila, come noi con scatole, valigie e quant'altro, a reggerle nel miglior modo possibile per non farle bagnare.
E' il nostro turno, si entra. Dovevano controllare che non avessimo niente addosso; la poliziotta che si occupò di me fece bene il suo lavoro: non ricordo una parte del mio corpo dove lei non abbia messo le mani. Penso che a mamma avranno fatto la stessa cosa, ma non ho guardato. Ci fanno entrare per dei lunghi corridoi, fino ad una stanza, come quelle che vedete nei film, i carcerati dietro ai vetri e dei sedili da questa parte per i visitatori, per potersi sedere e parlare. Decidiamo con mamma di entrare 15' ognuna. Io per prima.

Senza titolo- 3ultima modifica: 2005-06-22T14:21:56+02:00da
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